“Il fondamento della vergogna non è il nostro sbaglio personale,
ma che tale umiliazione sia visibile a tutti.”
Milan Kundera
Parlare di vergogna nella nostra epoca non è molto semplice. Come definita dal sociologo Bauman, ci troviamo nell'epoca postmoderna caratterizzata da una società liquida. Le persone che vivono in questa società hanno difficoltà a tollerare una propria identità differenziata, tanto forte è la spinta ad adeguarsi a modelli preconfezionati e alle richieste di diversi gruppi sociali, pur di non sentirsi escluse. Viene messa al limite la capacità di sentire e riconoscere le emozioni, la possibilità di percepire dei confini: in questo clima, la vergogna, per alcuni scomparsa, in realtà assume una posizione centrale, che emerge frequentemente nella clinica ma anche nel sociale. Attraverso la squalifica narcisistica si manifesta la paura di vivere in maniera autentica, non dando valore e non riconoscendo la propria specificità e individualità, intesa come orignalità rispetto l'altro; si tendono a considerare gli affetti come oggetti dannosi perché rendono l'individuo debole agli occhi degli altri, si imitano dei modelli esterni spesso privi di valore che però permettono una momentanea e appagante visibilità mediatica. A livello evolutivo, la vergogna-pudore che ha un ruolo molto importante nello sviluppo, sembra un po' obsoleta, emergendo al suo opposto una paura di invisibilità agli occhi del mondo, non supportata però da una struttura narcisistica ben salda. Ciò conferisce alla vergogna il ruolo di sentinella dell'integrità del sé.
Il termine vergogna deriva dal latino "vereor" che significa "timore rispettoso" mentre, il corrispettivo inglese "shame", ha a che fare con la radice germanica "kam" che significa “nascondere”. Si evidenzia pertanto da un lato la motivazione scatenante la vergogna (il senso di rispetto) e, dall'altro, le conseguenze di tale emozione (il bisogno di nascondersi). In tal senso la vergogna, come emozione antica, riconferma la sua posizione nodale tra un interno ed un esterno, tra il mentale e il corporeo, tra normalità di sviluppo e quadri patologici.
La vergogna si esprime su tre piani differenti:
Salta subito all'occhio quanto sia complessa come emozione, in quanto affetto che acquisisce significato nel confronto e nel giudizio dell'altro: si prova vergogna quando si fa qualcosa che ci rende diversi dagli altri e quindi ci sottrae a quell'anonimato livellante che ci dà un senso di sicurezza e ci protegge dallo sguardo altrui, che giudica il nostro comportamento come disdicevole e sbagliato. È come se lo sguardo invasivo avesse la capacità di andare oltre la pelle, oltre la nostra barriera che protegge e delimita la fisicità, esponendo il corpo nudo e lo spazio privato del sé ad uno smascheramento.
È importante distinguere tra la vergogna-segnale e la vergogna in senso patologico: la prima assolve al compito evolutivo di preservare lo spazio privato del sé mentre, la vergogna-sintomo, si trova in differenti quadri psicopatologici. Nonostante la vergogna permetta di acquisire via via nella crescita anche una maggiore autoconsapevolezza, grazie alla possibilità di comprendere come gli altri ci vedono, può trasformarsi in impedimento e disagio, ad esempio, in persone che hanno difficoltà ad esprimere le emozioni, perché vissute come vulnerabilità e sinonimo di dipendenza.
La vergogna ha anche una componente morale, che ha a che fare con sentimenti di viltà, con il tradimento, che implicano una grande lacerazione interiore, un conflitto tra l'amore che proviamo per noi stessi e valutazione che abbiamo di noi stessi.
Esistono alcune culture in cui non è desiderabile mostrare apertamente il sentimento della vergogna, soprattutto da un punto di vista comportamentale. Al di là delle influenze culturali esercitate dal gruppo di appartenenza, è importante fare riferimento alle specifiche modalità di accudimento ricevute. Esse sono fondamentali per la costruzione delle capacità dell'individuo di fronteggiare e gestire i propri affetti. Vi è un apprendimento attraverso la referenza sociale ma, soprattutto, risulta determinante il modo in cui i care takers moduleranno l'esperienza affettiva di vergogna, che si manifesta in maniera precoce nello sviluppo. Ad esempio, un bambino che sta muovendo i primi passi e alla vista dell'estraneo va a nascondersi, è una vignetta che riproduce un'esperienza di vergogna: è importante riconoscere il fatto in maniera affettuosa, attenuarla, affrontare con l'aiuto degli adulti le cause scatenanti, così da utilizzarla come modello nelle situazioni successive, per elaborare le personali capacità affettive.
Il passaggio tra preadolescenza e adolescenza, con le relative modificazioni corporee, diventa un momento particolarmente sensibile alla vergogna poiché, la spontaneità dell'infanzia, lascia il passo ad incertezza e insicurezza oltre che ai timori di un avvenire ancora sconosciuto. L'adolescente è così esposto al conflitto tra una sicurezza definita dall'attaccamento ad un tempo passato e le spinte verso l'autonomia e l'espressione di una identità differenziata da quella dei genitori; c'è un aumento dell'esposizione del sé all'ambiente, il rapporto con una “platea immaginaria" che lo osserva nell'aspetto, nei comportamenti e nei pensieri, sia in realtà che in fantasia, esperienza modulata dalla vergogna, che ha un suo impatto in una fase di riassetto e fragilità. La vergogna è in stretta connessione con l'identità, è provocata da situazioni che mettono in discussione l'immagine di sé perché costringe a vedersi con gli occhi degli altri e a riconoscere le differenze. Le esperienze vergognose se accettate ed elaborate sono utili perché accrescono la conoscenza e la possibilità di un cambiamento personale, al contrario, se negate, provocano lo sviluppo di una corazza difensiva che allontana la persona dalla sua individuazione, limitando anche la sua sfera sociale.
Può sembrare semplice individuare il sentimento di vergogna nelle parole dei pazienti ma è importante considerare come il soggetto ha strutturato caparbie modalità di convivere con il sé vergognoso.
Nel tentativo di rendere tollerabile questo sentimento, solitamente ha elaborato ben precise modalità relazionali. La vergogna nella relazione analitica, inoltre, è inevitabile: le condizioni stesse del setting, la posizione sdraiata sul lettino o anche quella del vis à vis, l'invito ad osservare la regola fondamentale delle associazioni libere, le interpretazioni e il rapporto di transfert.
L'insight è uno dei principali elementi che permettono di ridimensionare la vergogna durante il trattamento. Di solito il semplice fatto di poter verbalizzare tale emozione aiuta fortemente a mitigarne il senso. È quindi importantissimo permettere al paziente di parlare dei suoi vissuti assumendo un atteggiamento empatico, di ascolto e sostegno, che permetta in primo luogo di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla comunicazione di vissuti così soffrenti e poi, gradualmente, di trasformare i vissuti e le emozioni negative connesse alla vergogna, imparando a riconoscere le difese inadatte a gestirla.
È così possibile esplorare la vergogna per trovarne le ragioni più profonde e quindi attuare il cambiamento necessario. Rovesciare lo stile relazionale cristallizzato nel tempo dalla vergogna permette di sbloccare espressioni di autenticità e di vitalità che vadano a colmare senso di vuoto e inutilità. In tal senso, il buon uso della vergogna avvicina la persona ai propri limiti e alla propria fragilità, rafforzando i legami di interdipendenza senza piuttosto percepirli come dipendenza da nascondere, segnale di imperfezione.
Dott.ssa Alessandra Roberti
Psicologa a Roma
Sono una Psicologa clinica. Fornisco consulenze e supporto psicologico, affiancando il paziente con sensibilità e competenza.
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Iscritta all'Ordine degli Psicologi della regione Lazio col n.23867